Pietro Consagra

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Pietro Consagra

“Scoprivo che più della scultura per me era primaria l’uscita dal centro: l’ubicazione come significato. Introducendo l’Ubicazione come elemento plastico, potevo osservare la scultura in modo che altrimenti non si sarebbe rivelata”.

Pietro Consagra è stato uno scultore e scrittore italiano, uno dei più prestigiosi esponenti dell’astrattismo internazionale.

Dopo gli studi all’Accademia di Palermo, lascia la Sicilia per stabilirsi nel ’44 a Roma. Frequenta Mafai, Turcato e Guttuso con cui condivide lo studio. Nel ’47 è tra i protagonisti di Forma 1, il gruppo di artisti – Dorazio, Perilli, Turcato, Attardi, Guerrini e Sanfilippo. 

Nel ’49 partecipa alla mostra sull’arte astratta presso la Fondazione Peggy Guggenheim a Venezia. Nel 1950 sbarca in Biennale (dove tornerà nel 56, nel 60 e nel 72). 

Il suo percorso espressivo viene affinato a Parigi; lì osserva le forme organiche di Brancusi e Arp ma anche le filiformi apparizioni di Giacometti. 

La sua ricerca si sviluppa realizzando sculture verticali di ferro, di eco costruttivista, con valore totemico. 

Aspira alla frontalità dell’opera così da poter arrivare a ciò che appare come una contraddizione: la bidimensionalità della scultura. Superfici levigate, ricamate quasi nel marmo, legni bruciati rappresentano l’alleggerimento della materia.  

È ormai un artista riconosciuto internazionalmente. Espone a San Paolo in Brasile, a New York, a Parigi, a Documenta Kassel in più edizioni.

Nel ’60 la Biennale gli dedica una sala personale e lo premia. Consapevole dell’eco della Pop americana esegue una serie di pitture a smalto che lo conducono alla svolta della scultura cromatica (Ferri trasparenti). Soggiorna in America dove insegna e espone (alla Malborough e al Guggenheim di New York). 

A fine anni Sessanta, con le Sottilissime porta lo spessore dell’opera a una bidimensionalità estrema, la superficie si aggira intorno ai due decimi di millimetro. S’interessa all’urbanistica e alla dimensione monumentale dell’arte.

Propone quindi Edifici frontali, forme abitabili senza angoli retti, curvilinee, quasi trasparenti. 

Con le sculture abitabili tende ad annullare lo spessore sino a giungere alle lamine sottili della grande Città frontale, una proposta urbanistica polemicamente utopica cui ha dedicato anche l’ omonimo pamphlet (1969). 

Sulla scia della sua idea, progetterà il Meeting a Gibellina (1976) e l’Arco sull’autostrada. 

Nel 1978 è tra i promotori di un documento sulla salvaguardia dei centri storici (Carta di Matera). 

Dai primi anni settanta sviluppa anche un linguaggio pittorico, realizzando importanti opere (smalti su masonite o faesite), che espone nella personale del 1973 alla Galleria Editalia (seguiranno altre personali nel 1981, 1985, 1993). Per la ricostruzione di Gibellina nel Belice realizza nel 1981 una stella di 24 metri, in acciaio inox: la Porta del Belice. 

Fra le sue ultime grandi opere, nel 1998, esegue la scultura in marmo, dedicata a Giano di Largo Santa Susanna a Roma. Si ricordano l’antologica della GNAM di Roma dell’89 (nel 1993 ha inaugurato la sala permanente dell’artista), le personali di Palermo, Osaka, l’antologica all’Ermitage di San Pietroburgo (1993). 

Nel 2001 è alla Biennale internazionale del Cairo.Muore a Milano nel 2005. Nel 2007-2008 l’omaggio all’artista dalla città di Verona, alla Galleria Lo Scudo e al Museo di Castelvecchio. Nel 2012 si tiene la retrospettiva a Serrone della Villa Reale di Monza.

«Esprimere il ritmo drammatico della vita di oggi con elementi plastici che dovrebbero essere la sintesi formale delle azioni dell’uomo a contatto con gli ingranaggi di questa società, dove è necessaria volontà, forza, ottimismo, semplicità, chiarezza»